Che cosa è l’educazione alla pace?
Si tratta di un orientamento pedagogico che mira ad un profondo cambiamento a livello personale, socio-relazionale e metodologico, nel senso della democrazia, della solidarietà e della gestione positiva - cioè non distruttiva - dei conflitti.
L’Associazione “Coordinamento Solidarietà e Cooperazione” di Salerno conduce da anni attività di formazione per ragazzi, genitori, docenti ed operatori del volontariato laico e religioso o per operatori degli EE.LL., continuando a sua volta un percorso di autoformazione ed autoaggiornamento, con il coinvolgimento di varie agenzie formative; un particolare punto di riferimento dell’Associazione è il C.P.P.P. (Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione positiva dei conflitti) di Piacenza, il cui direttore Daniele Novara è fra l’altro autore di vari libri sull’educazione alla pace; già il nome di questo centro fa capire qual è il fulcro principale delle sue attività, destinate a educatori che vogliano ispirarsi a modelli educativi nuovi, diversi da quelli tradizionali.
Quali sono i modelli educativi tradizionali? il modello autoritario e il modello permissivo. Il modello educativo alternativo, che l’orientamento dell’educazione alla pace intende promuovere è quello democratico, paritario: chi (insegnante o genitore) ha di fatto una responsabilità educativa maggiore rispetto all’altro (alunno o figlio), ha il compito di spiegargli innanzitutto i propri bisogni – quelli della persona, non del ruolo – e di chiedere all’altro di esplicitare i suoi; in questo modo, a livello di relazione non c’è più risentimento, ma reciproco rispetto. Questo modello educativo alternativo tende a sviluppare l’identità del giovane/ragazzo in un’atmosfera di accettazione e valorizzazione delle sue capacità, ma anche di valorizzazione delle differenze in un’ottica cooperativa, attraverso la costruzione di specifici percorsi educativi. Questi percorsi prevedono l’uso, da un lato, di laboratori, e dall’altro di giochi.
I laboratori sono attività di gruppo caratterizzati da una forte interattività fra i membri del gruppo e hanno spesso come obiettivo l’educazione ai rapporti, alla comunicazione, alla migliore gestione della propria affettività al fine di acquisire nuove modalità relazionali dove l’empatia, la capacità di comunicare, di problematizzare, di utilizzare positivamente la propria aggressività garantiscano a tutti il rispetto della propria esistenza.
Sia nei laboratori di educazione ai rapporti che nelle attività – e tanto più nei giochi – l’educatore è in veste di facilitatore. Come facilitatore dovrebbe essere anche l’adulto (genitore o insegnante) nella relazione educativa che si trova a vivere: il facilitatore non dà soluzioni (anche se a volte l’altro, il bambino o l’alunno se le aspetterebbe), ma si impegna in un percorso di ricerca comune di soluzioni possibili. Per fare ciò, è importante e fondamentale il riferimento ad una pedagogia cosiddetta “dell’ascolto”: una pedagogia cioè in cui non siano tanto importanti i contenuti e le metodologie, quanto la comunicazione tesa alla creazione di un clima accettante, di valorizzazione dell’altro, di fiducia nell’altro e nelle sue capacità di risolvere autonomamente le proprie difficoltà; una pedagogia che consideri la differenza, il diverso come una risorsa, un valore, un’opportunità per la propria crescita e per la propria conoscenza.
Per creare le condizioni relazionali che favoriscano il processo di crescita dell’altro (alunno o figlio), ci sono 3 elementi fondamentali da mettere in atto: